Malattie rare – Leucemia linfatica cronica, combinazione ‘chemo-free’ dell’inibitore di Bcl-2 venetoclax e dell’anticorpo anti-CD20 obinutuzumab conferma sua efficacia
“La combinazione ‘chemo-free’ dell’inibitore di Bcl-2 venetoclax e dell’anticorpo anti-CD20 obinutuzumab utilizzata in prima linea conferma il suo vantaggio rispetto alla chemioimmunoterapia standard con clorambucile e obinutuzumab ai fini della sopravvivenza libera da progressione (PFS) e dell’eradicazione della malattia minima residua (MRD) nei pazienti con leucemia linfatica cronica con comorbidità, anche a lungo termine, 3 anni dopo lo stop al trattamento. La conferma arriva dai risultati di follow-up a 4 anni dello studio di fase 3 CLL14, presentati di recente al congresso dell’American Society of Hematology (ASH)
«Confidiamo in una veloce approvazione anche da parte dell’Aifa di questo tipo di approccio ‘chemo-free’ (la combinazione venetoclax-obitunuruzumab, ndr) per i pazienti ‘unfit’, malati che, di fatto, non sono in grado di sopportare terapie continuative e chemioimmunoterapie particolarmente intensive» ha dichiarato ai microfoni di PharmaStar Stefano Molica, Coordinatore Scientifico del Dipartimento Oncoematologico dell’AO Pugliese Ciaccio di Catanzaro.
Lo studio CLL14
Lo studio CLL14 (NCT02242942) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato, in aperto, a due bracci, che ha coinvolto 432 pazienti con leucemia linfatica cronica non trattati in precedenza e che presentavano comorbidità significative. «Lo studio è stato coordinato dal German CLL Study Group e aveva l’obiettivo di valutare efficacia e sicurezza di un approccio ‘chemo-free’ di durata fissa, la combinazione venetoclax-obinutuzumab somministrata per 12 mesi, in confronto a uno standard of care per i pazienti con leucemia linfatica cronica ‘unfit’» ha spiegato Molica.
I partecipanti sono stati sottoposti a 12 cicli di trattamento di 28 giorni e assegnati in rapporto 1:1 a due bracci: uno trattato con 6 cicli di obinutuzumb più venetoclax seguiti da ulteriori 6 cicli di venetoclax in monoterapia e l’altro trattato con 6 cicli di clorambucile più obinutuzumab seguiti da ulteriori 6 cicli del solo clorambucile.
L’endpoint primario era la PFS valutata dagli sperimentatori, mentre gli endpoint secondari comprendevano i tassi di risposta, i tassi di negatività della malattia residua minima (MRD, misurata ogni 6 mesi per un massimo di 5 anni dopo l’arruolamento dell’ultimo paziente) e la sopravvivenza globale (OS).
Tutti i pazienti hanno interrotto il trattamento da almeno 3 anni e il follow-up è ancora in corso.
PFS maggiore con venetoclax anche 3 anni dopo lo stop al trattamento
La combinazione venetoclax-obinutuzumb ha già dimostrato di migliorare in modo significativo la PFS rispetto alla chemioimmunoterapia con clorambucile e obinutuzumab in questo studio. Nel 2019, infatti, sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati con un follow-up mediano di 28,1 mesi, che hanno mostrato una PFS a 2 anni rispettivamente dell’88,1% contro 64,1%.
«Nel marzo scorso, sulla base di questi dati, l’agenzia europea dei medicinali, l’Ema, ha approvato la combinazione venetoclax-obinutuzumb per il trattamento di prima linea dei pazienti con leucemia cronica unfit» ha ricordato Molica.
Nel settembre scorso, invece, sono stati pubblicati su The Lancet Oncology i risultati con circa un anno di follow-up in più (39,6 mesi), con una PFS rispettivamente dell’81,9% contro 49,5%…”
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Fonte: “Leucemia linfatica cronica, combinazione ‘chemo-free’ con venetoclax in prima linea conferma i benefici su sopravvivenza e malattia minima residua. #ASH20”, PHARMASTAR