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Fibromi uterini e miomi – Indispensabile una sempre maggiore conoscenza e un’appropriata governance

Una patologia dalle molte implicazioni, personali e sociali, che colpisce circa 3 milioni donne ma della quale non si parla mai a sufficienza. Per capire come individuare ottimali percorsi di cura e di presa in carico delle donne, Quotidiano Sanità ha avviato un confronto con un gruppo di esperti nel corso del quale sono state delineate le principali problematiche di questa patologia. Numerosi gli spunti di riflessione

29 LUG – Dal 20 al 60% delle donne italiane li manifestano nel corso della vita. In numeri circa tre milioni di donne che, in età fertile, si trovano a dover fare i conti con i fibromi uterini (detti anche miomi), la forma di tumore benigno più comune all’universo femminile. Ma è facile immaginare una sottostima della loro prevalenza: sono infatti frequentemente asintomatici, tant’è che spesso sono individuati durante le visite ginecologiche di controllo, quindi con diagnosi tardive.
Soprattutto possono compromettere la qualità di vita delle donne. Causano, infatti, fastidi importanti e invalidanti nella quotidianità (sanguinamenti abbondanti, disturbi della minzione e della defecazione, solo per citarne alcuni), disturbi sessuali.
Possono influire negativamente sulla capacità di concepire e portare a termine una gravidanza. Non a caso l’ultimo Piano Nazionale per la Fertilità del Ministero della Salute li indica tra le malattie che insidiano la capacità riproduttiva delle donne proprio perché possono ridurre la fertilità o causare un aumento di abortività in relazione alle dimensioni, al numero ed alla collocazione anatomica.

Italia paese a bassa natalità. Una criticità di non poco conto se consideriamo che la prevalenza dei fibromi aumenta con l’età –  è molto bassa prima dei 20 anni, ma cresce gradualmente sino a raggiungere un picco tra i 40 e i 50 anni – quindi proprio in quella popolazione femminile dove, sempre più, si osserva la maggiore concentrazione di gravidanze, ormai sempre più tardive: l’Italia, in base all’ultima rilevazione Eurostat relativa al 2017, guida la classifica delle donne che al primo  parto avevano un’età superiore a 30 anni (31,1 anni) con una delle percentuali più alta i Europa (7,3%) di primi figli dopo i 40 anni. Aspetto rilevante in un Paese a natalità zero. Secondo i recenti dati Istat, in Italia continua il calo delle nascite in atto dal 2008. Già a partire dal 2015 il numero di nascite è sceso sotto il mezzo milione e nel 2018 si registra un nuovo record negativo: sono stati iscritti in anagrafe per nascita solo 439.747 bambini, il minimo storico dall’Unità d’Italia, con una diminuzione delle nascite è di oltre 18 mila unità rispetto al 2017 (-4,0%).

Insomma, questa del fibroma uterino è una realtà complessa, per una patologia che, tra l’altro, non ha un’indicazione di trattamento univoca: si va da terapie mediche ormonali a quelle chirurgiche, da sempre terapie d’elezione (miectomia e isterectomia), fino a opzioni meno invasive (embolizzazione) a quelle farmacologiche (farmaci in grado di controllare e ridurre sintomatologia e dimensioni dei fibromi) arrivate più di recente ad arricchire l’armamentario terapeutico dei clinici. Quindi una patologia i cui percorsi terapeutici – come per altro evidenziato nelle linee guida delle società scientifiche Sigo, Aogoi e Augui – vanno personalizzati in base a sintomi, dimensione, numero e posizione del fibroma, presenza di patologie concomitanti, ma anche all’età della paziente, in particolare se vuole avere figli.

Indicare i percorsi giusti, e quindi appropriati, diventa perciò un imperativo per i professionisti e per i sistemi sanitari regionali considerato che i fibromi uterini sono, dopo i parti cesarei, la principale voce di spesa in ambito ginecologico…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Fibroma uterino. Indispensabile una sempre maggiore conoscenza e un’appropriata governance”, Quotidiano sanità

Tratto da: http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=76155