Disturbo di personalità multipla, oggi è noto come disturbo dissociativo dell’identità – Ha un preciso riscontro nel funzionamento del cervello
“Il disturbo dissociativo dell’identità, in cui un soggetto afferma di avere diverse personalità dissociate, ha un preciso riscontro nel funzionamento del cervello. Tre scienziati e filosofi suggeriscono che queste personalità potrebbero essere la manifestazione di una coscienza universale che darebbe origine a più centri di cognizione, ciascuno con una personalità e un senso di identità distinti
Nel 2015, in Germania alcuni medici hanno riferito del caso straordinario di una donna che soffriva di quello che è stato tradizionalmente chiamato “disturbo di personalità multipla” e oggi è noto come “disturbo dissociativo dell’identità” (DID). La donna esibiva una varietà di personalità dissociate (“gli altri”), alcune delle quali sostenevano di essere cieche.
Usando tracciati elettroencefalografici, i medici hanno accertato che l’attività cerebrale normalmente associata alla vista non era presente quando un “altro” cieco controllava il corpo della donna, anche se i suoi occhi erano aperti. Sorprendentemente, quando un “altro” vedente assumeva il controllo, ritornava la solita attività cerebrale.
Questa è stata una dimostrazione convincente del potere letteralmente accecante delle forme estreme di dissociazione, una condizione in cui la psiche dà luogo a centri di coscienza multipli, operativamente separati, ciascuno con la propria vita interiore privata.
Le moderne tecniche di neuroimaging hanno dimostrato che il DID è reale: in uno studio del 2014, alcuni medici hanno eseguito scansioni cerebrali funzionali sia su pazienti con DID sia su attori che simulavano il DID. Le scansioni dei veri pazienti hanno mostrato chiare differenze rispetto a quelle degli attori, documentando che la dissociazione aveva un’impronta identificabile nell’attività neurale. In altre parole, c’è qualcosa di piuttosto particolare che i processi dissociativi mostrano nel cervello.
Vi sono anche dati clinici convincenti che dimostrano che diversi “altri” possono essere contemporaneamente consapevoli e considerarsi come identità distinte. Uno di noi [Adam Crabtree] ha scritto un’ampia trattazione delle prove a favore
di questa distinzione dell’identità e delle forme complesse di memoria interattiva che l’accompagnano, in particolare in quei casi estremi di DID che sono solitamente definiti come disturbo di personalità multipla.
La storia di questa condizione risale ai primi anni dell’Ottocento, con un’ampia messe di casi riportati negli anni ottanta del XIX secolo, e poi ancora negli anni venti, sessanta e novanta del XX secolo. La copiosa letteratura sull’argomento conferma il senso coerente e intransigente di separazione sperimentato dalle personalità altre. Mostra anche prove convincenti che la psiche umana è costantemente attiva nel produrre unità personali di percezione e azione che potrebbero essere necessarie per affrontare le sfide della vita.
Anche se non avessimo idea di come spiegare con precisione come avviene questo processo creativo (poiché si sviluppa quasi oltre la portata dell’introspezione autoriflessiva), l’evidenza clinica ci obbliga tuttavia a riconoscere che sta accadendo qualcosa che ha importanti implicazioni per le nostre opinioni su cosa è possibile in natura e su cosa non è possibile.
Ora, un articolo pubblicato di recente da uno di noi afferma che la dissociazione può offrire una soluzione a un problema cruciale per la nostra attuale comprensione della natura della realtà. Ciò richiede un po’ di conoscenze di fondo, quindi chiediamo al lettore un po’ di pazienza.
Secondo la visione metafisica più accreditata del fisicalismo, la realtà è costituita fondamentalmente da cose fisiche esterne e indipendenti dalla mente. Gli stati mentali, a loro volta, dovrebbero essere spiegabili in termini di parametri dei processi fisici nel cervello.
Un problema chiave del fisicalismo, tuttavia, è la sua incapacità di dare un senso a come potrebbe sorgere la nostra esperienza soggettiva delle qualità – cioè il modo in cui percepiamo il calore del fuoco, il rosso di una mela, l’amarezza della delusione e così via – da semplici schemi di cose fisiche.
Entità fisiche come le particelle subatomiche possiedono proprietà relazionali astratte, come massa, spin, quantità di moto e carica. Ma non c’è nulla in queste proprietà, o nel modo in cui le particelle sono disposte in un cervello, da cui si possa dedurre come si percepiscono il calore del fuoco, il rosso di una mela o l’amarezza della delusione: è il cosiddetto “problema difficile” della coscienza.
Per aggirare questo problema, alcuni filosofi hanno proposto un’alternativa: quell’esperienza è inerente ad ogni entità fisica fondamentale in natura. In questa prospettiva, detta “panpsichismo costitutivo”, la materia è già dotata di esperienza dall’inizio e non solo quando si organizza in forma di cervello. Persino le particelle subatomiche hanno una forma molto semplice di coscienza. La nostra stessa coscienza umana è quindi (presumibilmente) costituita da una combinazione delle vite interiori soggettive delle innumerevoli particelle fisiche che costituiscono il nostro sistema nervoso.
Tuttavia, il panpsichismo costitutivo ha un problema cruciale: è probabile che non esista un modo coerente e non magico in cui punti di vista soggettivi di livello inferiore – come quelli che avrebbero le particelle subatomiche o i neuroni del cervello – possa combinarsi per formare punti di vista soggettivi di livello superiore, come il vostro e il nostro. Questo è detto problema della combinazione e appare insolubile quanto il problema difficile della coscienza.
Il modo più ovvio per aggirare il problema della combinazione è sostenere che, se la coscienza ha effettivamente una natura fondamentale, non è frammentata come la materia. L’idea è di estendere la coscienza all’intero tessuto dello spazio-tempo, anziché limitarla entro i confini delle singole particelle subatomiche.
In questa visione – chiamata “cosmopsichismo” nella filosofia moderna, anche se la nostra formulazione preferita la riduce a quello che è stato chiamato classicamente “idealismo” – esiste un’unica coscienza universale. L’universo fisico nel suo insieme è l’aspetto estrinseco della vita interiore universale, proprio come un cervello e un corpo viventi sono l’aspetto estrinseco della vita interiore di una persona.
Non è necessario essere filosofi per individuare l’ovvio problema insito in questa idea: le persone hanno campi di esperienza privati e separati…”
Per continuare a leggere la news originale:
Fonte: “Le personalità multiple e la coscienza dell’universo”, Le Scienze
Tratto da: http://www.lescienze.it/news/2018/06/26/news/vita_universo_tutto-4025094/