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Coronavirus – Best practices sulla gestione del dolore ai tempi del Covid-19

La gestione del dolore durante la pandemia COVID-19 richiede un bilanciamento dell’accesso alle cure con la riduzione al minimo del rischio di esposizione per gli operatori sanitari di prima linea e i pazienti vulnerabili. E’ quanto evidenziano delle “best practices” sviluppate da un gruppo di esperti che ha evidenziato le migliori pratiche da adottare e che sono state pubblicate su Pain Medicine

Il dolore cronico è la principale causa di disabilità nel mondo ed è associato a molteplici comorbilità psichiatriche. L’accesso al trattamento del dolore è stato definito un diritto umano fondamentale da numerose organizzazioni.
In un rapporto MMWR del 2018, i ricercatori hanno stimato che circa 50 milioni di americani soffrono di dolore cronico, circa il 20% di tutti gli adulti negli Stati Uniti.

L’attuale pandemia di COVID-19 ha messo a dura prova le risorse mediche, creando un dilemma per i medici incaricati di limitare la diffusione del contagio e la loro responsabilità di curare i pazienti a cui sono affidati.
Per affrontare questi problemi, è stato convocato un gruppo di esperti che includeva esperti di gestione del dolore dell’esercito, della Veterans Health Administration e del mondo accademico ed è stato richiesta l’approvazione delle società delle parti interessate al completamento del documento.

In queste linee guida, viene fornito un quadro per gli operatori sanitari che si occupano di dolore e le istituzioni per bilanciare gli obiettivi spesso contrastanti di mitigazione del rischio per i fornitori di assistenza sanitaria, mitigazione del rischio per i pazienti, conservazione delle risorse e accesso ai servizi di gestione del dolore.

Le questioni specifiche discusse includono la mitigazione del rischio generale e interventistica specifica, problemi di flusso dei pazienti e piani di personale, opzioni di telemedicina, raccomandazioni di triaging, strategie per ridurre sequele psicologiche nei fornitori di assistenza sanitaria e utilizzo delle risorse.

La guida rimanda al documento emesso dalla CDC per quanto riguarda le precauzioni per limitare la diffusione virale attraverso pazienti asintomatici e le raccomandazioni sul controllo delle infezioni per prevenire la trasmissione di agenti infettivi in ambito sanitario https://www.cdc.gov/infectioncontrol/guidelines/isolation/.

Secondo queste “migliori pratiche” contenute nel documento, i medici devono tenere conto di alcuni parametri nella valutazione dei pazienti di persona o tramite la telemedicina (che è preferibile in questo momento): acuità; considerazioni psichiatriche e sociali comorbide; livello di dolore e compromissione funzionale coesistente; probabilità che la visita o la procedura forniscano benefici significativi; probabilità che il paziente cerchi servizi di emergenza limitati o inizi un trattamento con oppioidi; necessità di un esame fisico; rischio associato a visite o procedure di persona; stato lavorativo (ad es. se il paziente sta attualmente lavorando o rientri al lavoro con un adeguato trattamento del dolore); e professione (vale a dire, dare la priorità ai primi soccorritori per offrire il massimo beneficio per la società).

Lewis Nelson, direttore della medicina d’urgenza della Rutgers New Jersey Medical School, ha dichiarato che la telemedicina dovrebbe essere usata il più possibile anche perché ci sono problemi di risorse e di assistenza alle persone
Gli esperti che hanno collaborato a stilare il documento evidenziano che “quando sono necessari steroidi, i medici dovrebbero usare la dose più bassa possibile e informare i pazienti del potenziale di immunosoppressione e del rischio di infezione”.

I pazienti che sono già immunodepressi e ad alto rischio di infezione e complicanze SARS-CoV-2 possono ricevere iniezioni di steroidi solo dopo aver valutato i benefici e i rischi.
“Ci sono prove contrastanti che gli steroidi possono sopprimere il sistema immunitario”, ha detto Cohen, “ma il rischio sembra essere molto, molto basso”.

Nei pazienti che assumono oppioidi che potrebbero aver finito i farmaci a causa di ostacoli nella logistica o uso eccessivo, potrebbero manifestare alcuni segni fisici indicativi della sospensione degli oppioidi, in particolare se prominente, può essere osservata da remoto agitazione, diaforesi, piloerezione e forse anche dimensioni pupillari. I pazienti vanno anche monitorati per un eventuale aumento della frequenza cardiaca, che è un classico segno di astinenza da oppiacei.

Il documento evidenzia anche che “è ragionevole” per i medici prescrivere oppioidi a breve termine a pazienti che soffrono di dolore acuto o una grave esacerbazione del dolore purché i medici valutino il rischio dei loro pazienti di sviluppare un disturbo da uso di oppioidi.”

I medici dovrebbero anche controllare il programma di monitoraggio dei farmaci da prescrizione e sviluppare una “strategia di uscita” per i loro pazienti, hanno detto gli esperti. Se gli oppioidi devono essere continuati in questi pazienti oltre 1 o 2 settimane, il gruppo di esperti raccomanda una visita di persona entro 1 mese per condurre un esame fisico, accertare la gravità della patologia ed esaminare la necessità del paziente di un intervento procedurale.

Per quanto riguarda l’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei, in particolare dopo le discussioni sui possibili rischi collegati all’uso di ibuprofene, né la FDA né l’Agenzia europea per i medicinali sono a conoscenza di alcuna prova che colleghi l’uso di questo o altri FANS al peggioramento dei sintomi di COVID-19, sebbene le agenzie chiedono di far attenzione nell’ “attività farmacologica dei FANS nella riduzione dell’infiammazione, e della febbre, in quanto ciò potrebbe ridurre l’utilità dei segni diagnostici nel rilevare le infezioni…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Gestione del dolore, “best practices” in tempo di Covid”, PHARMASTAR

Tratto da: https://www.pharmastar.it/news/dolore/gestione-del-dolore-best-practices-in-tempo-di-covid-32138