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Malattie neuromuscolari rare e non – Insufficienza respiratoria, rivalutazione della ventilazione a pressione negativa

“La ventilazione non invasiva a pressione positiva in maschera è la soluzione più utilizzata nell’insufficienza respiratoria che non necessita di tracheostomia. Negli ultimi anni però si è riaccesa l’attenzione sulla ventilazione a pressione negativa. L’esperto ce ne spiega i motivi.

di Fabrizio Rao Responsabile Area Respiratoria Centro NeMO Milano Dirett ore clinico Centro NeMO Arenzano (GE) e CMS UILDM – (articolo pubblicato in DM n.197)

L’ insufficienza respiratoria è una frequente causa di disabilità in pazienti con patologie neuromuscolari. Nel determinismo della difficoltà respiratoria giocano un ruolo importante la debolezza dei muscoli respiratori, l’eventuale presenza di scoliosi e la complessa gestione delle secrezioni bronchiali che, se non presa in carico, può determinare importanti fenomeni di ingombro secretivo.

Negli ultimi trent’anni la tecnologia ha consentito di ottenere ottimi risultati con la diffusione della ventilazione non invasiva a pressione positiva, consentendo di migliorare sia la sopravvivenza che la qualità della vita dei pazienti con insufficienza respiratoria, in particolare nella patologia neuromuscolare.

La storia della ventilazione non invasiva non nasce però con maschere e boccagli, ma compare nel mondo scientifico negli anni 40 e 50 in occasione della epidemia di poliomielite nei paesi del nord Europa e negli Stati Uniti; in quella occasione fanno la loro comparsa il polmone d’acciaio e altri sistemi di ventilazione a corazza che costituiscono l’inizio della ventilazione a pressione negativa (NPV).

I benefici sono subito evidenti in quanto la NPV consente di controllare l’insufficienza respiratoria anche molto avanzata senza necessità di accedere alle vie aeree profonde. I principi che stanno alla base della ventilazione a pressione negativa sono i più naturali in termini di fisiologia pleuro-polmonare: il torace e l’addome, inseriti all’interno di una struttura (il polmone d’acciaio), vengono sottoposti all’applicazione di una pressione negativa che ne consente l’espansione e di conseguenza favoriscono la creazione di flusso aereo in entrata nel torace. Sistemi più semplici ma comunque efficaci sono rappresentati da poncho e corazza, con analogo principio di funzionamento.

Il limite maggiore di questa tipologia di ventilazione è legato all’ingombro degli strumenti, che ha fatto sì che negli anni successivi tale tipologia di ventilazione venisse sostanzialmente sostituita dalla ventilazione a pressione positiva in maschera, anche grazie alla versatilità e alla facile trasportabilità dei ventilatori domiciliari moderni.

Negli ultimi anni si è però riaccesa l’attenzione sulla ventilazione a pressione negativa, anche nelle patologie neuromuscolari, in particolari situazioni cliniche. È risultata efficace nello svezzamento dalla ventilazione meccanica invasiva nei reparti di terapia intensiva e in le occasioni in cui la ventilazione in maschera a lungo termine non è tollerata, per particolare morfologia del distretto facciale del paziente o per la necessità di ventilazione continua in maschera. Tale evenienza può esporre infatti il paziente a pericolose lesioni da decubito nei punti di contatto della maschera, che possono portare alla impossibilità a proseguire un trattamento ventilatorio non invasivo.

Sebbene siano rari gli studi che paragonano l’efficacia della ventilazione a pressione negativa con quella a pressione positiva in maschera, va tenuto presente che uno dei problemi principali da monitorare durante l’utilizzo della ventilazione negativa in pazienti con distrofia o con instabilità delle vie aeree superiori (compromissione bulbare) risulta essere la possibilità di sviluppare durante il sonno episodi di apnea ostruttiva. Questi episodi sono verosimilmente dovuti alla scarsa coordinazione tra l’attività muscolare delle alte vie aeree e la contrazione della muscolatura toracica, una delle ragioni per cui la ventilazione a pressione negativa è stata soppiantata da quella in maschera. I candidati più appropriati a ricevere una ventilazione a pressione negativa dovrebbero avere una adeguata stabilità delle vie aeree superiori, un ottimale controllo delle secrezioni bronchiali anche con l’aiuto di strumenti di assistenza meccanica alla tosse, lieve o moderata ritenzione di anidride carbonica diurna e la presenza di sintomi associati all’ipoventilazione notturna quali cefalea al risveglio, sonnolenza diurna o scarsa qualità del sonno notturno.

Le patologie che possono beneficiare dell’utilizzo di metodiche di ventilazione a pressione negativa sono le malattie neuromuscolari a lenta evoluzione, l’ipoventilazione centrale, le deformità toraciche. D’altro canto, i pazienti con patologie neuromuscolari rapidamente progressive come la sindrome di Guillian-Barrè o la sclerosi laterale amiotrofica non sono buoni candidati.

Alcune attenzioni risultano importanti per ottenere un risultato soddisfacente durante la ventilazione a pressione negativa: è essenziale, nel caso di utilizzo della corazza, mantenere una corretta adesione del guscio alla conformazione del torace e dell’addome facendo attenzione a proteggere la cute nei punti di contatto, per evitare lesioni cutanee e ostruzioni venose; tale situazione è particolarmente difficile da ottenere nei pazienti con grave cifo-scoliosi. Indispensabile inoltre mantenere una soddisfacente temperatura corporea dei tessuti all’interno della corazza…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Una Rivalutazione Della Ventilazione A Pressione Negativa”, UILDM

Tratto da: https://www.uildm.org/una-rivalutazione-della-ventilazione-pressione-negativa