Malattie rare – Linfoma di Hodgkin, inibitori del checkpoint PD-1 risultano efficaci nella terapia di salvataggio
“Circa il 25% dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin non riesce a guarire con la chemioterapia standard e viene pertanto avviato a terapia di salvataggio e consolidamento con trapianto autologo. Di questi pazienti, circa il 50% risulterà chemiorefrattario o recidiverà nuovamente dopo l’autotrapianto. Tuttavia, l’avvento dell’immunoterapia con inibitori del checkpoint PD-1 ha costituito un punto di svolta importante nel trattamento di questa patologia come evidenziato anche dal documento di consenso recentemente pubblicato su Leukemia & Lymphoma, frutto del lavoro di un panel di esperti italiani
Esperti tra cui Pierluigi Zinzani , primo firmatario del lavoro, e Paolo Corradini, Direttore del Dipartimento di Ematologia e Onco-ematologia pediatrica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e presidente della Società Italiana di Ematologia.
Il documento ha l’obiettivo di fornire raccomandazioni pratiche per l’uso ottimale degli anticorpi anti-PD-1 quale trattamento per i casi più complessi, in cui i pazienti mostrino recidiva o siano refrattari alla terapia standard.
“L’attuale strategia terapeutica per pazienti affetti da linfoma di Hodgkin con prognosi sfavorevole prevede l’utilizzo di brentuximab vedotin (BV) o bendamustina – che tuttavia garantiscono risposte complete e durature per una percentuale di pazienti inferiore al 30% – e il trapianto di cellule staminali allogeniche per coloro che dispongono di un donatore” spiega il Prof. Paolo Corradini, Direttore del Dipartimento di Ematologia e Onco-ematologia pediatrica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
“L’avvento degli inibitori del checkpoint immunitario programmed-death 1 (PD-1), nivolumab e pembrolizumab, ha costituito una svolta importante nella terapia di salvataggio, mostrando tassi di risposta incoraggianti anche in pazienti fortemente pre-trattati”.
L’agenzia europea del farmaco (EMA) ha approvato l’utilizzo di queste terapie per uso continuativo fino a evento avverso o progressione in pazienti ricaduti dopo autotrapianto e BV e, recentemente, è arrivata anche l’approvazione da parte di AIFA, anche se al momento solo per nivolumab.
L’aumentato utilizzo di questi trattamenti ha però fatto emergere alcune criticità relative al rischio di eventi avversi. Gli inibitori anti-PD-1 sono generalmente caratterizzati da un modesto profilo di tossicità, tuttavia l’insorgenza di complicanze immuno-mediate può costituire una sfida per l’ematologo sia nella formulazione della diagnosi (spesso di esclusione) sia nel bilanciare rischi e benefici della sospensione del trattamento per tossicità, spesso solo transitoria. Inoltre, l’utilizzo di questi inibitori in un contesto peri-trapiantologico – come “ponte” al trapianto allogenico o come salvataggio post-allotrapianto – ha dimostrato un aumentato rischio di complicanze, in particolare di comparsa precoce di “malattia del trapianto contro l’ospite”…”
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Fonte: “Linfoma di Hodgkin: inibitori del checkpoint primario pd-1 efficaci nella terapia di salvataggio. Documento italiano di consenso”, PHARMASTAR