Trattamento intensivo della pressione arteriosa – Non aumenta rischio di danno renale
“Livelli elevati di creatinina in pazienti sottoposti a controllo intensivo della pressione arteriosa (PA) possono essere un artefatto del minore flusso sanguigno renale piuttosto che un segno di vero danno renale, secondo uno studio pubblicato online sugli “Annals of Internal Medicine”. Questa evidenza potrebbe diminuire i timori di alcuni medici secondo cui il controllo intensivo della PA possa danneggiare i reni
È improbabile peraltro che questo studio risolva un dibattito scatenato dall’ormai noto studio SPRINT (Systolic Blood Pressure Intervention Trial).
Lo studio SPRINT aveva dimostrato che un target di pressione sanguigna inferiore a 120 mmHg riduce gli eventi avversi cardiovascolari (CV) maggiori (MACE) e la mortalità più del controllo pressorio standard che è finalizzato a mantenere la PA sistolica (PAS) al di sotto di 140 mm Hg (vedi)
Eppure, sembrava esserci un problema: l’incidenza della malattia renale cronica (CKD) era triplicata tra i pazienti sottoposti a controllo intensivo della PA rispetto al controllo standard.
Nonostante le preoccupazioni per il danno renale, l’American College of Cardiology (ACC) e l’American Heart Association (AHA) raccomandavano 120 mmHg come obiettivo da preferirsi per il controllo della PA. Ciò però ha sollevato preoccupazioni sul fatto che un controllo più aggressivo della PA potesse portare a un aumento dei casi di CKD.
«Quindi, rimaneva incertezza riguardo al fatto che l’incidenza di CKD che si sviluppa durante la riduzione intensiva della PA sia accompagnata da un danno renale intrinseco o rifletta invece i cambiamenti emodinamici» scrivono gli autori, un gruppo di colleghi del gruppo di ricerca SPRINT guidati da William Zhang, dell’Università della California, a San Francisco.
Studio caso-controllo nidificato nel trial SPRINT
Pertanto, Zhang e colleghi hanno condotto uno studio caso-controllo nidificato all’interno dello SPRINT con 162 pazienti che hanno sviluppato CKD durante il trial. Lo studio ha incluso 128 pazienti sottoposti a controllo intensivo della PA, 34 pazienti sottoposti a terapia standard e 162 persone di controllo corrispondenti che non hanno sviluppato problemi renali durante lo studio.
Quando i ricercatori hanno analizzato nove biomarcatori di danno renale in campioni di urina prelevati al basale e a 1 anno, hanno scoperto che livelli elevati di 3 biomarcatori al basale erano associati a probabilità più elevate di sviluppare CKD durante lo studio…”
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Fonte: “Nessun aumento di rischio di danno renale dal trattamento intensivo della pressione arteriosa”, PHARMASTAR