Alzheimer – Prevenirlo quando si è ancora mentalmente sani. Sarà possibile?
“Quantità più elevate di amiloide nel cervello di soggetti anziani sono associate, con maggiore probabilità, ad un più rapido declino cognitivo suggestivo della malattia di Alzheimer. È quanto si osserva in uno studio pubblicato su JAMA in cui gli autori considerano le placche amiloidi un fattore di rischio per l’Alzheimer, anche se i risultati hanno un valore clinico ancora incerto
Lo studio presenta l’amiloide come parte della malattia, il precursore prima che si manifestino i sintomi; “Questo studio sta cercando di sostenere il concetto che la malattia inizi prima dei sintomi, ponendo le basi per condurre interventi precoci”, ha dichiarato il dottor Michael Donohue, del Alzheimer’s Therapeutic Research Institute, Department of Neurology, University of Southern California, San Diego, e autore principale dello studio.
La malattia inizia prima dei sintomi
I ricercatori sostengono che il periodo di incubazione con placche amiloidi elevate, che corrisponderebbe alla fase asintomatica, potrebbe durare più a lungo dello stadio di demenza.
“Per avere un più grande impatto sulla malattia, dobbiamo intervenire il più presto possibile sull’amiloide, la causa molecolare che sta alla base”, ha dichiarato il dottor Paul Aisen, autore senior della ricerca, “Questo studio ci porta all’idea che elevati livelli di amiloide si trovino in una fase precoce dell’Alzheimer, il che potrebbe essere una tappa appropriata per la terapia anti-amiloide”.
I ricercatori hanno paragonato la placca amiloide nel cervello al colesterolo nel sangue; questi potrebbero essere silenti, con poche manifestazioni esterne fino a rivelarsi in un evento tragico. La cura potrebbe ostacolare la risultante malattia, la malattia di Alzheimer o l’infarto, mentre una diagnosi tardiva potrebbe lasciare segni irreversibili e sarebbe troppo tardi per iniziare un trattamento.
Sia il dottor Aisen che il dottor Donohue sperano che eliminare l’amiloide nella fase preclinica rallenti l’esordio dell’Alzheimer o addirittura lo arresti.
I biomarker dell’Alzheimer, in particolar modo la visualizzazione di placche amiloidi mediante la tomografia a emissione di positroni (PET) e la misurazione della beta-amiloide, totale della proteina tau e di tau fosforilata, attraverso l’esame del liquido cerebrospinale, permettono un’identificazione specifica degli individui con lieve decadimento cognitivo che probabilmente progredirà in demenza nell’Alzheimer.
Alcune evidenze suggeriscono che la diagnosi dell’Alzheimer sia preceduta da anni di sintomatologia silente, come un aumento dell’amiloide pur mantenendo una cognizione clinicamente normale.
“Considerata la probabile associazione tra accumulo di amiloide e declino cognitivo successivo nelle persone anziane ma cognitivamente normali, abbiamo voluto caratterizzare e quantificare il rischio di declino cognitivo relativo alla malattia di Alzheimer tra individui cognitivamente normali con elevati livelli di amiloide del cervello” hanno puntualizzato i ricercatori.
Sono state condotte analisi esplorative utilizzando dati longitudinali cognitivi e sui biomarker provenienti da 445 individui cognitivamente normali negli Stati Uniti e in Canada. I partecipanti sono stati osservati dal 23 agosto 2005 al 7 giugno 2016, per una media di 3,1 anni (massimo follow-up: 10,3 anni) come parte del Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative (ADNI).
Risultati interessanti
Utilizzando la PET e il dosaggio del liquido cerebrospinale, i partecipanti sono stati suddivisi in 2 gruppi, uno con quantità normale di amiloide accumulata (n = 243) e l’altro con quantità elevata di amiloide (n = 202)…”
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Fonte: “Prevenire l’Alzheimer quando si è ancora mentalmente sani. Sarà possibile?”, PHARMASTAR